Non ho mai conosciuto Giuseppe Esposito, e mai lo conoscerò. Era un giovane 37enne che ieri è morto a Formia sul lavoro. Uno dei tanti morti che serviranno a fare numero nelle statistiche ISTAT sui morti sul lavoro e che confermerà la macabra sequenza di quattro morti al giorno sul lavoro che avvengono in Italia, ferie e festivi compresi.
Un altro morto sul lavoro che noi tutti dimenticheremo molto presto, presi dalle diatribe inerenti la “scarsa igiene personale di quelli di sinistra” e la “classifica dei culi più belli” delle parlamentari del PdL.
In queste circostanze a poco serve esprimere cordoglio alla famiglia e a tanto serve esprimere rabbia per una quotidiana guerra civile tra capitale e lavoro che produce 1.400 morti all’anno.
L’applauso degli industriali alla volta dell’amministratore delegato della Tyssen Krupp, che , poverino, è stato condannato per la morte di sette lavoratori, e che ora pensa a trasferire gli investimenti produttivi all’estero perché in Italia non si può neanche far schiattare i lavoratori senza essere puniti, è indice della barbarie che i “padroni” stanno portando avanti senza sosta. Per quanto mi riguarda dovremmo tutti iniziare a cambiare linguaggio, e a non chiamare più “morti sul lavoro”, bensì “omicidi sul lavoro”, i decessi occorsi per colpa della mancanza di sicurezza sui luoghi di lavoro.
Giuseppe Esposito, operaio di 37 anni, originario di Minturno (Latina) è morto oggi pomeriggio, 11 maggio, dopo una caduta da un'altezza di 12 metri mentre lavorava in un cantiere di Formia, in località Penitro. L'uomo stava installando pannelli fotovoltaici in un capannone di una ditta specializzata nella manutenzione di cassonetti dei rifiuti, quando ha perso l'equilibrio ed è precipitato.
Nessun commento:
Posta un commento