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martedì 28 giugno 2011

Formia muore e nessuno se ne accorge

Percorrendo via Spaventola, decido di recarmi al nuovo teatro, con la speranza di trovare informazioni sulla stagione teatrale. Nell'area, in parte adibita a parcheggio per autotreni, faccio inizialmente fatica ad individuare la nuova struttura. Mi avvicino, passando tra gli autotreni, ma non vedo nessuna locandina, niente che indichi eventi culturali. Il nuovo teatro appare completamente abbandonato all'incuria. 

I cancelli del cortile sono chiusi. A fianco al teatro ci sono gli autotreni parcheggiati, tutt'intorno spazzatura e squallore. Sullo sfondo gli scheletri in cemento armato di diverse palazzine (si direbbe una lottizzazione mai completata); nel cortile del teatro due alberi secchi, ancora sostenuti da pali di castagno, dunque piantati a regola d'arte, ma evidentemente morti per incuria, quando per farli sopravvivere sarebbe stato sufficiente innaffiarli un poco d'estate, anche saltuariamente.
Il giardino interno, dove stava bene un prato verde e forse dei fiori, e' invece pieno d'erbacce secche, come gli alberi. Le palazzine incomplete, che appaiono troppo vicine l'una all'altra, coprono la vista del mare. Mi rincuora un poco vedere in alto, in lontananza, il Monte di Mola ricoperto da pini di un intenso verde scuro, che risalta sullo sfondo verde chiaro dello strame.
Mi volto e subito dietro l'angolo - l'avevo gia' notato arrivando - trovo un cumulo di spazzatura maleodorante vicino ad una recinzione di lamiere ondulate, ammaccate, arrugginite. Piu' in la', oltre gli autotreni parcheggiati, c'e' un'antenna altissima.

Passo vicino al cumulo d'immondizia maleodorante turandomi il naso. Noto che piu' in la' ci sono anche materassi vecchi, calcinacci, vetri rotti, rovi e ancora erbacce secche. Poco oltre tale sporcizia, dietro la recinzione, c'e' il cantiere edile che sembra abbandonato da molti anni, almeno a giudicare dalla ruggine sul ferro e dai segni lasciati dalle intemperie sul cemento armato, dai rovi che oramai superano in altezza le lamiere ondulate.

Tra gli autotreni parcheggiati trovo di tutto, persino dei grossi copertoni vecchi di camion. Oltre una rete zincata vedo una giungla di pilastri in cemento armato e, oltre le palazzine incomplete, la sagoma bianca di un grosso capannone industriale, che in quel punto copre quasi completamente la vista del Monte di Mola. Anche ai piedi dell'enorme antenna ci sono erbacce, rovi e calcinacci. Ancora piu' in la', pezzi di mobili vecchi abbandonati, altri grossi copertoni di camion consumati, altri scheletri di palazzine incompiute.

Lo sguardo, che tenta di fuggire via da tanta sporcizia, da tanto squallore, si volge di nuovo in alto ad uno scorcio del Monte di Mola.

In quel punto il monte, un poco piu' su della sorgente dalla quale tutta la citta' s'approvvigiona d'acqua, verra' traforato dalla pedemontana "a 4 corsie", dopo che essa avra' lasciato un'enorme ferita color asfalto, mai piu' rimarginabile, inferta al verde degli ultimi uliveti formiani, lunga quanto tutto il territorio della citta'.

Arrivato alla fine della fila di autotreni, guardo di nuovo in lontananza verso occidente il Monte di Mola. E' bello, ricoperto di pini di un intenso verde scuro, ma lo sara' ancora per poco.

La cooperativa Luci sul Golfo costruira' su quel monte le case per i suoi soci, pare col benestare di Purini, un architetto e professore universitario che sta lavorando al nuovo piano regolatore generale. Vado via nauseato per la tanta putrida immondizia che e' ovunque, e corro verso oriente, ma solo per un paio di chilometri. Supero lo sbarramento che delimita una grossa voragine lasciata nella strada dal recente scoppio delle tubature di una rete idrica obsoleta, che da sempre e' insufficiente a rifornire d'acqua una zona di eccessiva espansione edilizia, chiamata per una strana ironia della sorte Acqualonga. Anche qui l'ipotesi di nuovo piano regolatore prevede addirittura altri palazzi, nonostante l'evidente attuale inadeguatezza delle infrastrutture.

Arrivo ai piedi di Monte Campese dopo aver superato lungo la strada stretta un camion-cisterna parcheggiato sul suo bordo, che oramai da settimane rifornisce le case della zona di acqua potabile, la cui erogazione s'e' interrotta per via dell'ennesimo gia' citato scoppio dei tubi.

Per fortuna ritrovo, proprio come me lo ricordavo, uno degli ultimi angoli ancora belli di Formia, che rimarra' bello ancora per poco. Il professor Purini pare vi abbia previsto, negli uliveti che sopravviveranno al passaggio della pedemontana "a 4 corsie", e all'ulteriore espansione edilizia del quartiere Acqualonga, altri quartieri di "edilizia sperimentale a bassa densita'", verosimilmente serviti dalla stessa rete idrica che scoppia ogni anno lasciando grosse voragini nella strada stretta e perennemente dissestata.

Questo luogo ai piedi del Monte Campese, a parte il panorama, non si puo' dire che fosse stato bello quarant'anni fa, ma e' divenuto tale grazie alla passione e all'ostinazione di un oramai anziano signore che vi ha continuato a piantare alberi ogni anno, per quarant'anni di seguito, curandoli e mantenendoli in vita ogni estate, portandogli acqua e proteggendoli dagli incendi.

Dopo il disgusto provato nella zona del teatro, e il disagio all'Acqualonga, provo finalmente sollievo nell'ammirare a lungo le diverse tonalita' di verde e la bellezza sublime di questo luogo che chiamano Gli Archi, dove si coltivano soprattutto ulivi, che crescono rigogliosi in ogni angolo di terreno coltivabile.

Provo anche affetto, ammirazione e gratitudine verso quell'uomo anziano che ha continuato instancabilmente a piantare alberi trasformando, col duro lavoro di meta' della sua lunga vita, quella che era una landa arida e desolata in un'oasi di verde.
Dagli Archi, su tra i pini, ammiro incantato il panorama del Golfo, il blu del mare, e cerco di dimenticare l'immondizia putrida, gli scheletri di cemento armato, il teatro morto quasi prima di nascere, i fitti palazzi che continuano anno dopo anno la loro inarrestabile ascesa verso la collina e divorano gli uliveti, la voragine ancora transennata nella strada un poco piu' a valle.

Sono preso di nuovo dal dispiacere quando penso al triste destino serbato a questo luogo, Gli Archi, che pare dovra' ospitare - per via dell'ostinazione di un altro anziano uomo che invece sembra non amare gli alberi - un superfluo cimitero monumentale, un ecomostro fatto di loculi a schiera in salita, di troppe cappelle funerarie e di un forno crematorio con torre cineraria, nonostante la documentata non idoneita' dell'impervio luogo ad ospitarlo, nonostante gli ulivi e i pini. L'enorme, superfluo e costosissimo ecomostro di cemento, che rimpiazzera' ulivi e pini, sara' visibile da tutta Formia e dalle citta' limitrofe, proprio come le case sul Monte di Mola, della cooperativa Luci sul Golfo.

Dunque la Formia del futuro avra' Luci sul Golfo a occidente, sul Monte di Mola, e lumini sul golfo ad oriente, sul Monte Campese, dove secondo Purini il nuovo enorme cimitero assumera' addirittura il ruolo di "catalizzatore del senso della comunita'", essendo questo cimitero considerato "un luogo ad alta risonanza collettiva, un luogo nel quale la citta' vede espressa la propria identita'".
Assieme al teatro nero, praticamente morto affogato nella spazzatura, assieme alla cultura, presto moriranno anche dei pezzi importanti del bel paesaggio formiano.

Mi chiedo perche' l'anziano uomo che e' al potere, e che dimostra di non amare gli alberi, continua ad insistere su questo cimitero monumentale in collina, con forno crematorio e lumini accesi sul golfo, al posto di uliveti e pinete, quando ci sono alternative molto piu' valide e meno costose.

Non trovo nessuna spiegazione plausibile che possa giustificare un tale assurdo sfregio ambientale.

Pietro Spina

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